Le oche raffigurate sul quadro di fronte a me mi fissano con aria sbigottita. Forse sono disorientate anche loro da questo nuovo inizio.
È da un giorno che mi sono trasferita in un appartamento vicino l’università e devo ammettere che è ancora difficile ambientarsi, percepire i metri quadrati di questa stanzetta come di mia proprietà e non di qualcun altro. Ma sono sicura che giorno dopo giorno la nebbia nella mia testa sarà meno fitta e risplenderà una luce di normalità.
Sto vivendo un Erasmus anormale: mi sono allontanata di una quindicina di chilometri dalla casa in cui sono cresciuta e ho traslocato in una nuova parte della città, ma mi sembra che la mia Roma sia diventata tutt’a un tratto sconosciuta, una nuova meta ancora da scoprire. Forse a darmi la parvenza di un vero e proprio viaggio sono state le valigie e le numerose borse di Ikea, stracariche di detersivi e lenzuola.
E ora sono qui, ancora stordita, con Roderick accanto che sta sprigionando i suoi fiori bianchi affusolati (per chi non lo sapesse, è uno Spathiphyllum), con uno specchio tempestato già di brevi frasi divertenti scritte con un pennarello bianco e un’eccentrica lampada dal design minimale, che c’entra ben poco con lo scrittoio antico su cui ora è appoggiato il mio computer.
Mi sembra tutto così nuovo, così strano e forse si tratta solo di superare quest’impasse di novità per poi varcare finalmente la soglia dell’età adulta. Non posso negare che mi spaventi terribilmente. Già trovarmi di fronte ad una lavatrice ed essere incapace di utilizzarla mi ha fatto uscire fuori di testa. Ma il bucato ora è steso sullo stendino in salotto, mentre minuscole gocce di acqua cadono ad una ad una sul parquet color noce.
Devo perseverare, avere quella pazienza di cui sono poco dotata e metterci tanta, ma tanta determinazione. Giorno dopo giorno un vento di familiarità mi accoglierà al mattino, spalancando le persiane e rifugiandosi sotto al mio copriletto, e io aprirò gli occhi, riconoscendo in tutti i piccoli particolari intorno a me oggetti del tutto familiari. Si tratta solo di aspettare e nel mentre stringere i denti, per abituarsi a voci, odori, rumori, abitudini completamente nuovi.
Eppure sto morendo dentro di una paura folle: è la paura del salto prima di fare il bungee jumping, la paura di schiantarsi a terra, pur essendo consapevole di essere strettamente legata ad una corda che non mollerà la presa. È la paura dell’ignoto, del non sperimentato, del senso di vuoto prima della discesa in picchiata. Ma una volta in aria la paura si trasformerà in adrenalina, nel cuore che batterà all’impazzata, scosso di qua e di là da emozioni che gli percuoteranno senza sosta gli atri e i ventricoli.
Spesso il corso degli eventi si modifica in modo del tutto inaspettato e quando ci rendiamo conto di questi cambiamenti inevitabili, è ormai troppo tardi e siamo già stati fiondati in una realtà completamente differente dalla precedente. Il trucco sta nel non perdersi mai d’animo, nel conservare in questo eterno mutare certezze rassicuranti: poche amicizie solide, la sicurezza nelle proprie capacità, l’amore familiare e una serenità da coltivare quotidianamente con il proprio sé per renderla una verità indistruttibile.
Ed è proprio questo tempo che trasforma tutto ciò che incontra che mi ha portato fin qui, senza neanche dare un attimo alla mia mente per elaborare il cambiamento. Il mio corpo è qui, in questa stanza, abbasso gli occhi e vedo le mie gambe incrociate sopra una sedia in pelle color crema. Giro il viso verso destra e fuori dalla finestra scorgo una signora che sta annaffiando i ciclamini che colorano di rosso e rosa il suo piccolo balconcino. Sono qui e tutto va bene.
Ora è meglio che vada: le voci di Gian e Perti che sento al di là della porta mi richiamano al presente. È il momento di proseguire in questo nuovo inizio.