Corpi

Corpo che cambi, corpo che non sei più tu. Ora sei un estraneo per me. Dovrai mostrarmi le tue credenziali e poi potremo discutere di come vivere assieme, senza noie, senza attacchi e dipartite.

Sei venuto fin qui per dare fastidio? Oppure sei la prima falcata di un passo nuovo? Mi fai paura sai, con il tuo fare così insolente che non chiede neanche il permesso. Sei arrivato d’un colpo e ti sei insediato con forza. Tu spavaldo, che non guardi in faccia nessuno. Tu che ti credi il più potente tra noi, antichi abitanti di un mondo a te ancora sconosciuto.

Ti chiedo di agire con calma, sii cortese con i miei compaesani, che sono così austeri. Sai, a loro le novità spaventano così tanto che definirli reazionari sarebbe dir poco. E io condivido il loro pensiero, perché l’unità di intenti qui è tutto, segna la vittoria o la sconfitta. 

Un tuo compare si aggirò nei dintorni anche qualche anno fa, fino ad irrompere con violenza: la rivoluzione delle nuove forme minacciava di cambiare tutto, anche i pensieri, la forma mentis dei più anziani. Così era stata stroncata sin dalle prime fiaccolate e tutto il paese si era ritirato verso uno stato primordiale, quello di un corpo sterile e a tratti impercettibile. 

Allora prima di creare qualche casino, forse è meglio che tu te ne vada subito. Vattene, te lo ordino. Altrimenti farò chiudere i portoni d’ingresso al castello da tutti i lati, dozzine di arcieri saranno appollaiati sulle torri perimetrali. Scruteranno ogni tuo gesto indisponente. Tu, bastardo che credi di poter alterare ciò che mai deve essere alterato. Non appena ti avremo cacciato fuori, provvederò a disfare tutto quello su cui tu avevi messo mano. Spolperò i vasi che avevi riempito di ori per comprare il nostro consenso, così da lasciarli vuoti, fragili come ad un tempo. Retrocederemo in un attimo. 

Però aspetta. Indugia ancora un momento, che forse non sei il male come ti ritraggono. Forse i tuoi strani attributi dissiperanno quella coltre di nubi che sovrasta il paese. Quaggiù si gela da anni, i maglioni di lana li portiamo anche a maggio. E siamo sinceri, questo stato alla fine non ci entusiasma molto. I campi sono sempre aridi e le bocche asciutte, l’acqua viene drenata tutta dal terreno. Il pallore dei visi e le palpebre dormienti sfuggono alle dieci ore di sonno. E poi gli amori? Che fine hanno fatto gli amori? Si sono inibiti da soli, perché quei corpi hanno paura di non dare abbastanza. Quei corpi sterili. E allora forse il tuo arrivo farà risvegliare ciò che si era addormentato: ritorneranno gli occhi vispi, il sapore delle risate in bocca, ritornerà l’intreccio di mani. Ritornerà l’amore.

E allora resta ancora un po’ qua, contrattiamo con coscienza, per viverci, per crescere. 

Photo Credit: Agnese Dell’Omo.

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