L’uomo, vecchio lupo di mare

L’uomo è un lupo di mare.

Appena pone il piede sulla piccola barca che ha ricevuto in dono, traballa: l’inesperienza gli rende difficile mantenere l’equilibrio e ha bisogno di aggrapparsi alla fune sottile che percorre il perimetro dell’imbarcazione tinta di bianco.

I primi giorni lascia che i marinai a bordo si occupino di tutto il necessario per il corretto funzionamento del mezzo. Lui osserva silenzioso, mantenendo alta la concentrazione e non tralasciando neanche un minimo dettaglio delle loro strane manovre.

Gli viene poi consegnato il vocabolario dei termini nautici: un mucchio interminabile di fogli da studiare, ripetere ed apprendere, talmente immenso da richiedere più di una vita per poterlo finire. Si dice infatti che in passato soltanto un essere sia riuscito in quest’impresa impossibile: di certo doveva essere dotato di capacità degne di un dio, ma questa è soltanto una diceria che si tramanda da secoli, frutto dell’ancora viva immaginazione di un settantenne ormai sciupato.

Di giorno in giorno l’uomo siede curvo con lo sguardo sopra i termini neri dell’enorme volume, impara la differenza tra poppa e prua, le azioni da compiere per poter navigare e la sicurezza nel camminare, tenendo finalmente i piedi ben saldi al pavimento scivoloso.

Non è ancora pronto ad affrontare da solo le imprevedibili onde marine, eppure i marinai iniziano ad abbandonarlo per ritornare alle proprie barchette, lasciate ancorate nei pressi di qualche isolotto limitrofo. Sono pochi quelli che ancora gli fanno compagnia, assicurandosi che sia pronto per esplorare solitario i tesori del mare e percorrere ogni tratto nascosto dell’oceano. L’uomo prende sempre più dimestichezza con l’armamentario che lo circonda e al timore si sostituisce una soddisfazione impagabile: le grida che emetteva ogni volta che non riusciva ad eseguire in modo perfetto una semplice gassa d’amante sono ora rimpiazzate dai sorrisi che rivolge ad ogni nodo vaccaio e inglese. Stringe con forza il legno scuro del timone mentre fa un cenno di saluto agli ultimi coinquilini, che lo lasciano solo con i propri pensieri caotici e con le vele sottili che lo squadrano dall’alto.

Le ore, i minuti, i secondi passano, indistinti. L’uomo cambia, muta, si trasforma.

Dopo l’iniziale esitazione, padroneggia finalmente quel vascello che ora tanto bianco non è: la murata e il ponte sono ricoperti di colori tenui e puri, che descrivono pienamente il suo animo sensibile.

Ma il viaggio non è solo pace e tranquillità: l’uomo è completamente ignaro dell’impatto che ogni onda avrà con lo scafo della barca, dell’esito di ogni giornata, delle cattive intenzioni dei mostri che abitano i meandri più oscuri dell’acqua cristallina. A volte si intimorisce di fronte al verso che fuoriesce dalla bocca di un gabbiano, a volte si mostra impassibile e freddo come la temperatura della distesa marina, altre ancora si getta senza più forze nel vortice dello sconforto. È un mutare continuo e casuale di stati d’animo, sensazioni e atteggiamenti, che non intaccano il suo grande valore di marinaio, ma modificano semplicemente il suo modo di rapportarsi alla traversata quotidiana.

Una giornata di navigazione sfortunata non influenzerà definitivamente il suo intero percorso, ma sarà solo un piccolo intoppo nell’infinito saliscendi del maroso. Infatti spetterà sempre e solo all’uomo guardare le stelle, issare le vele e puntare il muso della barca verso la destinazione scelta dietro il consiglio del cuore o della mente. Nessuna forza astratta e sconosciuta riuscirà a ribaltare l’imbarcazione, neanche quando l’albero sarà caduto e la sua instabilità sarà ormai una certezza. L’uomo, a quel punto marinaio, avrà sempre le forze per cambiare la sua rotta, per vivere un’altra volta il piacere della brezza sul viso ormai rugoso, prendendosi gioco dei venti avversi, desiderosi e convinti del suo incombente naufragio.

In fondo tutti noi abbiamo nell’armadio l’uniforme con il solino azzurro, tutti noi fronteggiamo le onde che lambiscono o inondano il nostro vascello sempre vagante. Siamo marinai in cerca di una meta che mai raggiungeremo, ma il cui desiderio non si spegne, magari si affievolisce, come la fiamma di una candela tormentata dal leggero e ininfluente soffio di un essere odioso. Presi dall’avvilimento togliamo le mani dal timone, ci sediamo sul banco umidiccio e ci guardiamo i piedi ruvidi e incalliti, mentre voci demoniache ci invitano a buttarci in mare per porre fine a tutto. Eppure non potranno mai sottrarci la guida della nostra personale barchetta: saremo sempre e solo noi i suoi capitani, armatori, nocchieri e molte volte anche semplici allievi di coperta.

Non è mai troppo tardi per tirare fuori dal taschino della divisa la bussola arrugginita, per consultarla ed individuare una nuova direzione: un percorso senz’altro difficile e spaventoso, fatto di caverne oscure, tempeste violente e squali affamati, ma capace di donare, una volta concluso, un’inspiegabile serenità.

E tu non assecondare soltanto lo spirare dei venti: scontrati con essi e raggiungi finalmente il porto inesplorato della tua felicità.

Photo Credit: Edoardo De Rossi; Agnese Dell’Omo

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